Adriana Scarpa
1° classificata
Infanzia, dita di piuma
Infanzia, dita di piuma,
ti levo dal chiuso del sonno,
dagli angoli dimenticati
traggo fuori la tua voce.
I ricordi emergono nell’oro del sole:
una eco di suoni come folata di marzo.
Avevamo innocenza di passeri
stringevamo nel cavo della mano
giorni di vento e lucciole.
Erano barche all’ormeggio
le nostre storie a venire.
Oggi abbiamo sguardi chiusi
e più non sogniamo
di essere voce di flauto.
Si è prosciugato il fiume dei prodigi.
Oh tempo! che spiumi
e assottigli i fili leggeri e felici,
tempo che annulli gli incanti
e ci porgi stanche le braccia.
E’ dal passato che ritorna
questo ricciolo di tenerezza
quando
nel riverbero d’un tunnel di fronde
l’acqua ci carezzava le caviglie.
All’improvviso si propaga
un volo di richiami, c‘è un balzo
e i corpi per un momento stormiscono.
Resto ammaliata
un’ala di farfalla comincia a battere
nel mio cuore e la mente
tornata giovane
ancora si riempie di sogni
e canta.
Massimiliano Bianchi
2° classificato
Aspettando il cuore
Lasciami nell’incubo del sogno
del veleggiare stanco
nel mare, naufrago dell’irrealtà.
Possa io invidiare
gli umidi aloni
di una pallida luna.
Che affoghi il terrore
nelle acque del lago
dove ninfe
adornata e corteggiate
muovono i flutti
sugli zoccoli grevi, consunti
di fauni bramosi.
Ah! paura della luce.
Si riflette nel gorgo
l’anima piegata
ferita dai dardi, scagliati
da putti nascosti, vigliacchi!
Lascia che io sia preda
di questa notte, turbata
dall’eco del silenzio,
sospinta fra i rami, nel dedalo
di foglie, tremanti e ansiose
nell’attesa del timido bagliore.
Sono lamenti che straziano il cuore;
voci sottili, come lame
che fendono l’anima
e destano sospiri.
Maria Laura Caroniti
3° classificata
11/8/1999
Girasoli dai semi di luna neri di Ragni esposti e legati a presagi
in centurie di poveri occhi annodati da trecce di grinze antenate
e insonni di Dio; di nulla e mendica e pallida notte in falce
di transiti d’ombra racconta quell’urna di laico millennio che viene
a intrecciare le fila di un sole ignorato sul palmo di dita piegate in stanche
preghiere leggere – promesse di mutole fedi com’ali di ore slabbrate -.
Incolumi e salvi di nuovo dannati
in fine non resta che un mondo di vecchie speranze.
Andrea Caputo
4° classificato
Salvezza
Insinua lentamente
questa voglia del volo
un desiderio
di ricomporre lo specchio,
dei nostri volti spezzati
dal lago agitato.
La madre di un pesce
canta la vita dei suoi
figli, dolcemente si accascia
sul fondo e morendo
recita le sue ultime
fiabe.
Saltellando il passero
cerca un appiglio
per le sue rime al ritmo,
del passaggio di nuvole deformi
disegnando così
le maschere della nostra vita.
Michele Bussoni
5° classificato
Dietro di noi
Sfugge all’occhio dietro un avvallo rigonfiato
denso di cuore fertile
l’umbratile campo della sera
nera porzione figlia del tempo
e presto scompare il blu per il viola
e non so se andare
lasciare agli occhi un’ultima passione
prima di coricarci in un letto di rimpianti
rimane il buio, ruvido e nero
e rimane il freddo;
freddo ruvido e nero, ma bello
come un corvo posato su ramo secco
come un amore finito.
Alessandra Crabbia
6° classificata
L’amore esausto
Doppiammo Capo Horn,
o forse
raggiungemmo l’eterno per un attimo radioso,
o forse ancora
guardammo estatici il collasso di una stella
tra fiamme e bagliori
persi nell’universo dei nostri occhi.
E ancora credemmo al sempre e al mai,
al riso di Dioniso e alla non-morte.
Ora,
l’amore esausto di tanta fede,
parla di vicoli deserti,
di lunedì di quaresima
e di come sono amare certe bocche di vecchi
sulla porta di casa verso sera.
La ruota gira sui cardini e consuma la luce,
l’ampolla ha tramutato il suo balsamo in veleno.
L’urna del mio cuore giace pietrificata
nel fondo amaro dei tuoi occhi.
Io non sapevo ancora
della fragile maestà dell’amore,
io non sapevo del suo ripetuto e meraviglioso danno,
dell’inganno dei suoi fiori marciti.
io non sapevo ancora l’oltraggio
di dover morire.
Patrizio Pitto Neri
7° classificato
Vampa d’ombra
M’addentro nella pianura che so ridente
tra gli alberi appena nati e quelli già dismessi,
in un solco stridente ai miei stanchi passi,
sotto un cielo immobile nell’arsura.
Oh, rumore sbrecciato del mais,
abbandonato nell’inverno come ricchezza rapita,
come memoria silente e rattrappita,
come corpo che nessuno più accarezza né percorre.
Tacciono ora le stelle che colloquiano alla notte;
domani solo alla nebbia si donerà il giorno.
Ma in me sempre fermo rimane il desio d’un fuoco
che tutto travolga, stelo su stelo, parola per parola
affinché essa dalla cenere risorga
ancor più nuova e accesa nel ritorno.
E se fosse solo fumo questo desiato eterno fuoco?
Se fosse solo un pallido bagliore, una vampa d’ombra,
un canto roco? ebben che sia dunque fumo,
ma almen sia trasparente, e vaghi tra la gente
e sollevi la mia prola come novello feto in divenire,
solo così pago del proprio ansioso ire.
Paola Donadelli
8° classificata
Tempo anacrusico
E colgo la suggestione della notte,
sospiro emanato da molli bocche
escluse dalla leggiadra e dolce
chiarità del vivere perduto
e poi accolto
nell’abisso del pudore;
sorgente soffio che, permeando,
plasma e sconvolge il buio incantato
dove, ancora una volta, il cuore crea
dell’infinito e dell’amore i nomi.
E se, sciogliendosi, diafano piove
in terra il lieve pianto universale,
respirando, tutto si rinviene
anteriore: libertà preesistente
all’onda ossessiva del tempo
e delle voci, nostalgia tenue
sbocciata dalla presenza smarrita
nel profondo, dimensione soffusa
suggerita appena, come un sussurro
nel fioco albore all’orizzonte.
Ma, dissolvendosi, l’uomo si perde
di fronte alla dimora
intatta dell’amore.
Fabrizio Del Re
9° classificato
Zenit
Tra multiformi pieghe
Di abbaglianti tenebre
È custodito il canto creativo
del “lucos” antico.
L’incubo è luce.
Lo zenit del giorno
Desidera l’abbraccio
Transitorio delle ombre
E il canto tragico del capro,
Trascendendo il tempo
Da cui è stato generato,
Arresta il mondo
Nel punto più alto
Tra raggiungimento e caduta,
Istintualità e spiritualità,
Inseguimento e fuga.
Il fallico figlio di Driope,
Demone caprino dell’ermetico incubo,
Guida inquietante sugli archetipici
Sentieri silvani dello sgomento pastorale,
Nello stupro insegue il suo pauroso volto
Che le verdi pupille di pallida luce
d’una selenica ninfa rugiadosa
O di un’oreade tatuata di melici boschi
Riflettono, dilatate dall’istinto insopprimibile
Della panica fuga.
Ed è in questi contratti speculari
Che rifioriscono i segni originari
Dell’alchemico sperma mercuriale,
Il bacio dell’acqua e del fuoco,
La mescolanza del pino e del vino,
la “coniuctio” dello zolfo e del sale.
Roberta Degl’Innocenti
10° classificata
Dove volano i gabbiani
Ti porterò
dove volano i gabbiani
a bere l’aria
in limpido respiro,
e spegnerò le ciglia
alla finestra
per accucciarmi,
stretta,
al tuo sapore.
Piove la sera
in turgidi cristalli
trafitti,
uno ad uno,
sul sentiero di ginepro,
rete d’argento
getta il pescatore
al lume segreto
della mia memoria.
Ti porterò
dove volano i gabbiani,
in alto,
sopra i sogni e le sconfitte,
a prendere per mano
il mio dolore
e camminare nudi,
oltre il confine
e la parola,
ultimo respiro,
si bagnerà di stelle
e di rugiada.